Chiesa di S.Maria della Neve

Chiesa di S.Maria della Neve

Location

Via Antica Valeriana
25055 Pisogne , BS
Chiese
Itinerari: mappa rossa
Vie dell'arte
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La chiesa fu edificata nella seconda metà del XV secolo per volere della comunità di Pisogne. Il monogramma cristologico di San Bernardino posto al centro dell'architrave del portale (assieme all'affresco scomparso raffigurante il Trionfo della Morte che stava sulla facciata) porta a pensare che la chiesa fosse gestita dall'ordine dei Disciplini, che faceva della meditazione sulla "Passione di Cristo" una regola di vita. 

La facciata molto semplice, con tetto a capanna, è decorata a rombi policromi; il sobrio portale, in arenaria rossa, è ornato sui piedritti da candelabre e porta sull'architrave - assieme al monogramma bernardiniano - l'immagine di due teste di santi. Esso è sormontato da una nicchia semicircolare con una statua raffigurante la Madonna col Bambino, con due angeli affrescati sullo sfondo. Sul lato sinistro è posto un portichetto, che mostra tracce di affreschi attribuiti a Giovanni da Marone: tra essi i resti di una Madonna col Bambino e Santi (1486). L'interno è costituito da un'aula unica, divisa in tre campate da archi acuti che portano all'arco trionfale e all'abside. Una sola fonte di luce, quella dell'oblò sulla facciata, illumina gli affreschi del Romanino, terminati nel 1534, che ornano la chiesa. Il pittore bresciano fece chiudere le preesistenti finestre laterali per poter sfruttare interamente ed in modo uniforme lo spazio delle pareti. Nel 1588 i frati Agostiniani su sollecitazione di San Carlo Borromeo presero in carico la chiesa, costruendo accanto ad essa un convento (ora ampiamente ristrutturato ed adibito a casa da riposo).

GLI AFFRESCHI DEL ROMANINO. L’interesse artistico della chiesa si concentra sul ciclo di affreschi che raffigurano la Passione di Cristo, considerati uno dei punti più alti della poetica del Romanino. Le scene affrescate si presentano allo spettatore come un complesso di imponente teatralità, con le volte popolate da "michelangiolesche" figure di sibille e profeti e con le scene sulle pareti che si dispiegano a formare una sorta di rappresentazione popolare della Passione. Giovanni Testori battezzò suggestivamente con il nome di "Cappella Sistina dei poveri" la chiesa affrescata di Pisogne e, durante una conversazione pubblica, spiegò in questi termini il senso di tale appellativo: «Guardate quassù le sibille se non sembrano donne che tornino con le loro gerle dai boschi. [...] Pisogne per forza poetica tiene alla Sistina, ne è come l'alterità, l'altro modo di vivere il cristianesimo, [...] Qui c'è un modo di viverlo più umile, più da eroismo popolare e montagnardo, più dialettale. [...] Romanino qui fa il controcanto della parola che si fa carne, infatti prende la carne di un popolo, di una valle e ne fa verbo figurativo.» (G. Testori, Sotto il cielo di Romanino, in "Testori a Brescia", a cura di Associazione Giovanni Testori, Silvana Editoriale, 2003)
Colpisce il distacco dalle forme idealizzate del classicismo rinascimentale, l'uso del dialetto al posto della lingua colta, che si esprime in modo grottesco nella rappresentazione di volti e di corpi robusti e sgraziati: emblematica è la tozza figura della Maddalena che sembra corsa fuori dalla stalla per abbracciare la croce, oppure quella nerboruta del "Manigoldo" che interpreta la scena della Salita al Calvario, quella di Adamo che esce dal Limbo con lo sguardo furioso. È stato sempre Testori a riferirsi al Romanino come il solo vero grande sdegnoso e sdegnato barbaro, connotandolo anche come il più grande, più torvo e triviale dei pittori in dialetto dell'arte di ogni regione e di ogni tempo. Ad aumentare il senso popolano della rappresentazione sono inseriti brani di vita quotidiana che si sovrappongono e si confondono con il racconto evangelico. Ne sono un esempio i cani che passeggiano nella concitata scena della Crocifissione oppure i bambini che, nella scena dell'Ecce Homo, si azzuffano tra loro ai piedi della scala, insensibili al dramma che sta avvenendo. Il giudizio che, a fronte di un così manifesto linguaggio barbaro, a fronte di una narrazione visiva che procede impressionisticamente, con compiacimenti grotteschi che vanno a scapito della eleganza e della precisione pittorica (finanche con deliberate violazioni della proporzione dei corpi e delle regole della prospettiva), lo spettatore potrebbe - come in effetti avvenne ad opera della critica - ritenere che gli affreschi di Pisogne costituiscano una manifestazione minore dell'arte rinascimentale, uscita dal pennello di un artista eccentrico e non censurata da una committenza poco esigente. Tale giudizio si ribalta immediatamente quando si mettano in relazione gli affreschi del Romanino con l'esigenza di innovare le forme di comunicazione del messaggio evangelico, collocandolo in mezzo alla gente comune, connotandolo come risposta ad un bisogno diffuso ed autentico di spiritualità. Alessandro Nova definisce gli affreschi di Pisogne "uno dei cicli più eterodossi, quasi in controtempo, della storia dell’arte italiana": «Tutto è qui rimesso in discussione: la costruzione dello spazio sembra quasi ignorare le regole della prospettiva rinascimentale, volti e corpi sono deformati sino al grottesco e le pose dei personaggi sembrano a volte derivare dall'esperienza di un Sacro Monte, come se l'artista fosse alla ricerca di una spiritualità più diretta, partecipe e libera dai riti della Chiesa istituzionalizzata.» (A. Nova, Centro, periferia, provincia: Tiziano e Romanino, in AA.VV., "Romanino, un pittore in rivolta nel Rinascimento italiano", Silvana Editoriale, 2006 Catalogo della omonima mostra di Trento).
Romanino compie dunque, nel campo della pittura, un percorso di valorizzazione della parlata dialettale simile a quello che troviamo nelle cappelle dei Sacri Monti.
Erasmo da Rotterdam sottolineava in quegli anni l'affermazione di San Paolo secondo la quale il vero tempio di Dio erano i poveri. Lo stesso messaggio - di una vita ispirata dalla Imitatio Christi - veniva dalla confraternita dei Disciplini, committenti dell'opera, e da altri ordini religiosi presenti in Valcamonica. Un messaggio che si era fatto urgente nelle valli che portavano al nord, verso terre nelle quali la Riforma stava rapidamente diffondendosi e che era urgente contrastare. Il ciclo di affreschi che – pur con alcune ferite – possiamo oggi ammirare, copre interamente la volta, l'arco trionfale, le pareti laterali e la controfacciata. Sono andati invece perduti gli affreschi che ricoprivano l'abside (con le Storie di Maria) e quelli che, sempre il Romanino, aveva dipinto sulle pareti esterne. Di questi ultimi rimangono solo alcune parti staccate (due scene riguardanti l'Adorazione dei Magi sono conservate nell'abside).
Le vele e gli arconi che formano la volta sono decorati - secondo un precisa disposizione iconografica - con figure di profeti e sibille che reggono misteriosi cartigli annuncianti la venuta del Cristo. Sull'arco trionfale che dà accesso al presbiterio troviamo – disposte in uno schema abituale – la figura del Padreterno, dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata. Più in basso, sulla stessa parete, sono poste le scene della Discesa dello Spirito Santo e della Deposizione che fungevano da pale d’altare. Le pareti laterali sono affrescata secondo due registri: più in alto, ad occupare le grandi arcate gotiche, troviamo le scene finali della "Passione" (partendo dall’angolo a sinistra dell’arco e procedendo in senso antiorario, la Cattura di Cristo nell'Orto degli Ulivi, l' Ecce Uomo, la Salita al Calvario, la Crocifissionesulla controfacciata, la Resurrezione, la Discesa al Limbo e l'Ascensione); sotto di esse in una zoccolatura di finto marmo troviamo altre scene della vita di Cristo (la Cena in casa del Fariseo, Cristo davanti a Pilato, Cristo flagellato, Cristo coronato di spine, l'Ultima Cena, la Lavanda dei piedi e l'Ingresso in Gerusalemme), raffigurate in scala più piccola dentro riquadri rettangolari che fanno pensare ad una galleria di quadri. I dipinti colpiscono per l'esecuzione sommaria e rapida delle figure, ottenuta dipingendo in prevalenza direttamente sull'intonaco fresco, senza l'aiuto di cartoni preparatori; le vesti dei principali personaggi mostrano colori serici, con panneggi fruscianti ottenuti grazie ad un uso sapiente di effetti luministici.
Il percorso meditativo proposto dal Romanino lungo le pareti della chiesa presenta alcune incongruenze rispetto al susseguirsi degli eventi narrati nei testi evangelici. Osserva a questo proposito Francesco De Leonardis:
«Questo apparente disordine è stato interpretato talvolta come un segno della bizzarria del Romanino, che non vincolato da committenti colti, avrebbe agito con ampia libertà anche nella scelta dei soggetti, dopo che gli era stato fissato il tema generale. Recentemente però Bruno Passamani ha dato una nuova convincente lettura di questo percorso iconografico che sarebbe da ricondurre alle pratiche devozionali di stampo teatrale di una confraternita di Disciplini o alla spiritualità dei Frati Minori dell' Osservanza, che in questo periodo avevano una significativa presenza in Valle Camonica.» (F De Leonardis, La via del Romanino dal Sabino alla Valcamonica, testo reperibile al sito).
Il punto culminante dell'intero ciclo è la grande drammatica scena della Crocifissione che occupa l'intera controfacciata della chiesa. Lo sguardo corre subito alla figura dolente del Cristo crocifisso ed a quella di una Maddalena dalle braccia e dal volto di contadina posta in primo piano ad abbracciare disperatamente la croce. Ai lati della croce di Cristo osserviamo le figure possenti dei due ladroni. Sotto le croci la scena è riempita da una imponente calca umana: le pie donne sembrano voler stare in disparte sul lato sinistro della scena; sul lato opposto una soldataglia vociante si gioca ai dadi la tunica di Gesù (un trasparente messaggio pedagogico sulla necessità di non dividere la chiesa di Cristo). La folla si addensa al centro della scena attorno ai soldati romani a cavallo. In primo piano è la figura di Longino, il centurione che trafisse con la lancia il corpo di Cristo, che si staglia pensieroso nella sua argentea armatura.
«La Crocifissione per Romanino non è solo una meditazione sul dolore nella tradizione medievale dello Stabat Mater, né un atto d'accusa contro la malvagità dell'uomo, carnefice del suo Dio. Maria, la madre dolorosa, e il gruppo delle donne sono spostate al margine sinistro della rappresentazione, si confondono nella calca e sembrano quasi cadere fuori scena; più rilievo assumono invece i soldati che si giocano ai dadi la tunica indivisibile di Cristo e richiamano il tema, in un'età di lacerante predicazione luterana, della Chiesa che non deve essere divisa.» (F De Leonardis, La via del Romanino dal Sabino alla Valcamonica, op. cit.) fonte: wikipedia

(foto © Marta Pagano)